(Nell’episodio precedente, Lira, ascoltando Alan Scuro, stava correggendo gli appunti su Aiello Lightbeam, il misterioso Prestabilito precipitato a Monsampietro Mollico col suo UFO-Pentola. E ora svenuto in postumi sul divano, lì accanto a loro…)
– Ce l’ho fatta! – esclamò Alan Scuro con entrambi i pugni rivolti al soffitto, in puerile segno di vittoria. In una mano teneva stretto un bisturi non più affilatissimo, usato per recidere le sprue, e, nell’altra, ben serrato perché nessuno lo vedesse, un pezzo avanzato dall’assemblaggio del robottino Remo-Tob. Non era una parte importante, dell’estetica che dà valore alle cose, bensì una giuntura di raccordo interna al bacino, per nulla fondamentale se il modellino fosse stato trattato come un oggetto da esposizione, anziché come giocattolo.
– Alan Scuro, – lo riprese Lira, – guarda che non abbiamo mica finito di correggere. Guarda quanti appunti su Aiello! Tolte le imprecazioni e gli spergiuri saranno dieci pagine.
– Tu non capisci, guarda che bello! È uguale al mio Remo-Tob!
Lira smise di fare le bolle, appoggiò gli appunti sulle gambe e lanciò uno sguardo verso il tavolo della sala da pranzo, per l’occasione adibito a banco da modellismo.
Illuminato da una luce prepotente vi risplendeva il modellino completo del Remo-Tob in scala 1:144, e risplendevano gli occhi da bambino di Alan Scuro, felicissimo dell’essere finalmente riuscito a far incastrare la riproduzione dello Scudo Rettangolare al sistema di bloccaggio difettoso del braccio in plastica nera.
Se Lira non avesse detto nulla, l’ex pilota ci sarebbe rimasto veramente male, come un bambino al quale la mamma non elogia l’ennesimo scarabocchio appendendolo sul frigorifero: – È veramente bello, Alan, – disse lei avvicinandosi all’uomo in camicia bianca e pantaloni metallizzati a bande rosse, modello Chimichanga, – posso toccarlo?!
Mentre ancora lo stava chiedendo, quindi prima di ricevere una risposta che da parte di Alan Scuro sarebbe stata certamente negativa, Lira afferrò il robottino. All’ex Prestabilito sembrò che la ragazza glielo stesse stringendo con forza, con troppa forza.
Un robottino di quelli può contare centinaia di pezzi minuscoli, spesso impossibili da assemblare una seconda volta dopo la prima. Difatti, non essendo contemplato nell’assemblaggio l’uso alcun tipo di colla, gli incastri di plastica maschio-femmina dei modellini, una volta fatti combaciare l’uno nell’altra, si sigillano. Quindi la faccia sconvolta che Alan fece, la stessa che una madre farebbe nel vedere il proprio neonato schiacciato dall’enorme zampa di un elefante, non credo sia biasimabile. Specialmente se siete collezionisti e conoscete l’irreparabilità di tali oggetti.
Se non lo siete, considerate che solo il capo del Remo-Tob in scala 1:144 contava ben sette pezzi: due interni, che simulavano gli occhi robotici, minacciosi, incendiati e infossati nell’elmo del Tob che il mondo aveva visto discendere sul Colosseo per atterrarvi, e quattro esterni. A incastro indissolubile, due di questi, simmetrici, componevano i due lati dell’oscuro elmo da legionario. Gli altri due, nettamente più delicati, componevano il pennacchio di crini fiammeggianti che, in plastica rossa e trasparente, sovrastava dalla fronte alla nuca l’intero cimiero, in modo da coprirne, abbellendola, la giuntura.
Per non parlare delle microscopiche giunture interne al collo, alle spalle, ai gomiti meccatronici, alle mani prensili e al torso. Quella del torso era forse la più importante, perché, se Alan Scuro l’avesse inserita nella giusta posizione, avrebbe permesso al modellino di ruotare di 130°.
Ve ne erano altre, parimenti delicatissime nelle ginocchia, nelle caviglie. Tutto in quel giocattolo da collezione era difficilissimo da montare bene una prima volta e praticamente impossibile da rimontare una seconda, senza correre il rischio di lesionare o peggio spezzare qualche anima maschile nella rispettiva sede femmina.
Un po’ come nelle storie d’amore, diceva sempre Alan Scuro, in altri termini che qui censuro. Due pezzi dagli animi perfettamente combacianti, una volta sigillati insieme non dovrebbero mai essere separati, altrimenti uno dei due, che almeno nei modellini spesso è il maschio, a causa delle pressioni esterne e della tensione che deriva dall’adattarsi anche di poco all’altro, perché la perfezione non esiste, si spezzerà nell’anima. E una seconda perfetta unione non gli sarà possibile, tranne che attraverso l’antiestetico uso di collanti e innaturali artifici che, seppur riuscirebbero a ingannare occhi esterni in rapido passo tra le vetrinette della società, in cui come i modellini da collezione di Alan Scuro siamo esposti, mai potranno cambiare nei due pezzi la consapevolezza interiore che qualcosa fra loro si sia inesorabilmente rotto.
– Ferma, cretina! Vacci piano, perdio! Non vedi che è delicato?! Se si spacca e cade un pezzo dell’elmo fra le sprue, Cazzo lo ritrova!
– Scusa, scusa! – disse Lira adagiando delicatamente il robottino sul tavolo dov’era prima, come se per lei si fosse appena tramutato in un ordigno atomico da centocinquanta megatoni di bestemmie.
Seppur esagerando un po’ il tono dal punto di vista della drammaticità, la preoccupazione di Alan Scuro era legittima. Sul tavolo e per terra, c’erano ovunque dei piccolissimi pezzetti di plastica dette sprue, di svariati colori, e se un pezzo del robottino fosse caduto in mezzo a quella distesa, sarebbe stato praticamente impossibile da riconoscere, proprio come un coriandolo fra i coriandoli. Inoltre Alan Scuro aveva seguito visualmente le istruzioni in giapponese, tenendo come riferimento solo le immagini degli esplosi, staccando, uno alla volta, ogni pezzo dalle plance numerate in cui questi erano stati pressofusi. Quindi, se il prezioso robottino fosse esploso nella realtà come nelle immagini del libretto di montaggio, il nostro eroe, dai capelli tinti come la notte, non avrebbe più potuto utilizzare i numeri di riferimento, essenziali per riconoscerne ogni singola parte. Anche le plance si buttano nella plastica con le sprue non appena un robottino è finito.
Va detto, tutto quello scarto plasticoso, disseminato nella stanza come stelle nello spazio, era derivato dall’enorme esperienza di Alan Scuro nell’assemblare i suei modellini. Infatti dalle plance, i vari pezzetti Alan Scuro avrebbe potuto staccarli semplicemente torcendo ogni volta il pezzo suggerito dagli esplosi, quel tanto che bastava perché si staccasse da solo dai filamenti, sprue, che lo tenevano ancorato alla propria plancia numerata. Tuttavia così facendo, residui delle sprue, seppur piccoli e quasi impossibili da notare, soprattutto nelle parti interne, anime, sarebbero rimasti attaccati al pezzo da montare sul robottino, abbruttendo il risultato finale agli occhi del fine maestrante.
Quindi per evitare ogni possibile imprecisione, Alan Scuro aveva staccato dalle plance pezzo pezzo con delle apposite tronchesine, recidendone ognuno ben bene prima del finire dei fini filamenti di plastica che lo ancoravano con gli altri alla rispettiva plancia pressofusa. E solo dopo aveva troncato anche gli ultimi residui rimasti attaccati al pezzo in lavorazione, questa volta utilizzando un affilatissimo bisturi di precisione, per poi completare a regola d’arte il lavoro con l’uso di ben tre tipi diversi di carta abrasiva, scalandone la grana man mano che la superficie lavorata dell’elemento suddetto perdeva ogni sua impurità.
Alan Scuro dedicava a ogni parte dei suoi modellini la stessa precisione che un monaco amanuense dedica alla prima lettera dei suoi trascritti. Dunque era logico che si fosse incazzato con Lira come una iena.
Ma nel mentre che Alan Scuro sbraitava, una bolla di sapone, quella alla quale era stato assegnato il destino migliore, stava volando verso Aiello Lightbeam, ancora assopito sul divano con un braccio a sfiorare il pavimento. Per le bolle di sapone il destino migliore coincide sempre con quello più lungo.
Sulle labbra del prestabilito al risveglio Aiello Lightbeam, la bolla, lentamente si posò. Per poi scoppiare, infondendo il proprio sapore saponifero nella bocca del ragazzo.
– Dove sono?!
– A casa mia, coglione, – gli rispose subito Alan Scuro puntandogli contro la pistola laser tutta colorata e con ventosa, – e sei in arresto!
– Alan, – intervenne come poté Lira, – perché?! Lascialo stare!
– Zitta, donna.
Aiello, ripresosi dalla sbornia, ma traumatizzato in quel brusco risveglio dal sapore di sapone e dal minaccioso ex collega, sentendosi in trappola cercò l’uscita.
La trovò, ma vicino alla porta, appoggiata sulla parete e spenta, vide anche la sua spada. La luciferante Spada di Occamo.
(Continua…)
L’Episodio XVIII di Alan Scuro – Botta e risposta – verrà pubblicato, sempre qui, il giorno 19-05-2023, alle ore 00:00.
Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi
(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)