Dopo aver ricevuto un involto con l’ordine di non aprirlo, Alan Scuro abbracciò il padre e salì sull’UFO-Pentola che lo avrebbe accompagnato nella pancia del suo agognato robottone. Nonostante la partenza per il Cosmo di Nessuno fosse stata predisposta, da quei sadici dei secret, al Polo Nord, Alan Scuro aveva deciso di non indossare nessuna pelliccia sopra alla tuta argentata a bande rosse in dotazione ai prestabiliti.
Indossare una tuta da pilota di robottoni era sempre stato il suo più grande sogno, dopo, ovviamente, quello di pilotarne uno. Instradato dal padre fin dalla più tenera età con modellini e poster a tema mecha, Alan Scuro aveva passato la sua intera infanzia, per non parlare della sua adolescenza, costantemente spalmato sul vetro bombato della pesante scatola a tubo catodico in salotto. Anche lui voleva diventare grande e infilarsi in una di quelle supertecnologiche tute aderenti, e ora che finalmente la Dam gliene aveva fornita una, non aveva nessuna intenzione di nasconderne l’epicità con una pelliccia. Roba da donne, le pellicce, si era detto guardandosi il didietro compattato dalla tuta allo specchio della sua cameretta, il diciassettenne Alan Scuro.
Per tutti gli anni Ottanta, con gli occhi ipnotizzati dai coloratissimi robottoni giapponesi che, già fuori moda, avevano popolato i palinsesti delle emittenti televisive meno conosciute, Alan Scuro era sempre stato felice, anche perché poi alle due di notte quelle stesse televisioni mostravano donnine dell’Est spogliarsi in cambio di qualche telefonata ansimante. Ma se la tuta era una figata, Alan Scuro, ora stretto nella cabina dell’UFO-Pentola, non poté credere ai suoi occhi alla vista del casco: grigio alluminio con due antenne a forma di fiamme ai lati. Seppur senza visiera, era la cosa più eccitante che avesse mai visto in vita sua. Anche più delle spogliarelliste di Italia7.
In volo sopra le nuvole, Alan Scuro afferrò il casco dal portaoggetti fosforescente prendendolo per le fiamme smaltate di rosso, e lo indossò prima del tempo. Lo sentì scivolare sui capelli alla militare, neri come le folte sopracciglia che, seriose per la solennità della vestitura, lentamente vennero a coprirsi. Sembrava comodo, tuttavia dopo qualche istante Alan Scuro venne accecato da un bagliore melmoso verde fosforescente e, all’unisono, sentì una strana sostanza spalmarglisi in faccia. La melma verde lucente lo accecò di verde paura.
Nella concitazione Alan Scuro cercò di estrarre il casco come se vi fosse entrata una vespa assassina, divincolandosi favorito, nei repentini strattoni, solo dalla cintura di sicurezza che teneva slacciata. Non riuscì nell’impresa, sentendosi soffocare da quello stesso casco che avrebbe dovuto proteggerlo, tuttavia, non appena sentì mancargli il respiro, il bagliore melmoso che aveva in faccia solidificò, spegnendosi in una visiera scura e costellata di simboli, contatori impazziti e figure geometriche lampeggianti in rotazione. Informazioni su informazioni lo assalivano ora senza dargli nemmeno il tempo di comprenderne anche solo una.
– Porca puttana che spavento – si disse osservando il mare solidificare anch’esso nel Polo Nord.
L’UFO-Pentola si abbassò allora di quota roteando su se stesso come una moneta che cade e, non appena un bagliore che colorò di verde l’intero artico, l’ufo accelerò a tutta potenza, sbattendo Alan Scuro nella parte posteriore e alzando due altissime pareti di neve ai lati. La pressione sarebbe stata insostenibile per chiunque, e proprio quando Alan sentì le costole perforargli i polmoni, eccola: la Base Artica della Chimichanga Dam, con le sue tre torri verde scuro culminanti in sfere piene di uffici. La celere frenata lo scagliò a tutta forza contro la parte anteriore del veicolo. L’oggetto volante non identificato andò poi a parcheggiarsi tra gli ufo dei secret burocrati.
All’apertura automatica del portellone, Alan Scuro rovinò fuori, rotolando nella neve ancora immerso in una placenta verde fosforescente come un puledro alieno. Balenando dal nulla e variando la sua struttura fisica, quella roba gli aveva permesso di sopravvivere agli urti. Assomigliava a quella apparsa dal nulla e solidificatasi nella visiera del casco, eppure questa volta, la strana sostanza abbagliante svanì in vento gelido non appena Alan Scuro si riottenne.
– Ti avevo fatto dire di mettere la cintura di sicurezza, ragazzo, – gli disse dall’alto in basso un agente mascellone, vestito di verde e con gli occhiali da sole, – e di aspettare a indossare il casco. Per fortuna ti stavi avvicinando al tuo robottone, altrimenti il Numero Cim ti avrebbe ucciso.
– La melma verde?
– Sì dice Numero Cim, porta rispetto per ciò che compone ogni cosa dell’universo.
– Anche la mia pipì? No perché mi sono pisciato sotto, signor 007 sottomarca.
– Non l’hai fatta prima di partire? Tuo padre non ti ha fornito tutte le direttive del caso?! Impossibile, quell’uomo è stato il miglior prestabilito che il Cosmo di Nessuno abbia avuto il piacere di avere in sua difesa.
– Sì, me lo ha detto, ma non l’ho fatta, non ho più sette anni da dieci anni. E poi non volevo perdere tempo, volevo pilotare il mio robottone contro i tuoi nemici! Sono un eroe, io! – disse Alan Scuro rialzandosi e constatando che la gamba sinistra, la più bagnata, gli si stava congelando. – Mamma mia che freddo!
– Dov’è la tua pelliccia in dotazione, ragazzo? Solo il pilota del Faro-Tob è esentato dall’indossarla al suo primo giorno… Lasciamo perdere, tieni, prendi la mia – disse il secret ad Alan Scuro coprendogli le spalle congelate con un lupo bianco licenziato dalla vita prima del tempo.
– Ehi! Chi ti ha detto di toccarmi! Non voglio la tua pellaccia addosso, né tantomeno la tua pelliccia da donna!
– Non abbiamo tempo da perdere, Alan Scuro, c’è una missione di estrema importanza da svolgere. Lo hai notato, vero?
– Cosa dovevo notare? Noto solo uno stupido 007 dell’Eurosplin. Oh mamma mia…
Un’infanzia passata a costruire robottini ed eccolo lì, parcheggiato tra le lame di ghiaccio derivanti dal suo stesso atterraggio, proprio di fianco alla Base Artica della Chimichanga Dam: il leggendario robottone legionario in tutta la sua contrastante tetra robottosità. Sulla visiera di Alan Scuro comparve una freccia che lo indicava, con scritto: Remo-Tob – Entra qui per innescare l’Entanglement Quantistico di Livello Cim.
Gli occhi rossi e minacciosi nascosti all’interno della celata dell’elmo di metallo nero, come quello del resto dell’armatura, tradirono inizialmente all’emozionatissimo Alan Scuro una sensazione di pericolo, subito trascorsa grazie all’euforia provocata da quello che, il nostro eroe al suo primo giorno, notò un attimo dopo ai piedi trapezoidali del colosso: conficcati nella spessa calotta, c’erano il Gladio Oscuro e lo Scudo Rettangolare rosso. Li aveva certamente deposti lì papà Scuro appena il giorno prima, nel suo ultimo giorno da prestabilito.
Gli occhi di Alan Scuro divennero lucidi e tremanti, come quelli che da piccolo aveva avuto tutti i natali all’arrivo sotto l’albero di un nuovo robottino da montare. Con quelle armi e quel robottone, Alan Scuro sapeva che finalmente sarebbe divenuto un eroe intergalattico. E la sua vita, un cartone animato giapponese con tanto di sigla!
– “Alan Scuro! Indomabile! Alan Scuro! Incredibile! Alan Scuro, salva vite! Alan Scuro! Col nemico fa graniteee!” – protetto dalla visiera privacy, Alan Scuro canticchiava quella che per tutta la vita aveva sognato sarebbe stata la sua personalissima sigla da pilota di robottoni. Nel farlo, sotto gli occhi sgomenti dell’agente secret, Alan aveva preso una posa eroica, con le mani sui fianchi e il mento mussoliniano rivolto al cielo gelato dell’artico. Tre UFO-Pentola nella sua mente lo attraversarono in formazione rilasciando in scia il tricolore italiano.
L’agente secret si spalmò un guanto di rassegnazione sul volto, poi iniziò a spiegare al nostro autoproclamato eroe nazionale la sua primissima missione da prestabilito: – Noi esseri umani, Alan Scuro, siamo gli unici esseri senzienti dell’universo.
– E me lo dici così?!
L’agente si schiarì la voce e continuò: – Dunque, la Chimichanga Dam si è presa la briga di creare una colonia, metti caso fallisse la missione di difesa terrestre dalle cimici. L’abbiamo creata nell’unico pianeta QUASI simile in tutto e per tutto alla Terra ma irraggiungibile dai Nemici dell’Umanità. Tuttavia, a differenza dell’originale quell’unico esopianeta abitabile dai sapiens non ha un cielo stellato: Desol, questo è il nome della colonia, è difatti circondato in tutte le direzioni da buchi neri che, sì, lo difendono dalle cimici, ma ne assorbono anche tutta la luce che vi dovrebbe arrivare, al di là da quella della sua piccolissima stella… Mi stai ascoltando, Alan Scuro?
– “Dalla notte siderale… si avvicina la paura! Ma è verde non è scura… ti mangiucchia…” – canticchiava il nostro eroe fra sé e sé durante l’illustrazione dell’agente, rinvenendo d’un tratto come da un sogno al suo rabbioso richiamo. – Ah, sì, certo! I buchi neri, ma preferisco chiamarli Buchi di Colore. Razzisctah. – Poi, irreprensibile, concluse il motivetto: – “Ti mangiucchia la verduraaa! Alan Scuro!
– Alan Scuro, idiota d’un moccioso, ascoltami! In quel pianeta non sanno nulla di noi, abbiamo cancellato la memoria a tutti e li abbiamo costretti a lavorare la terra senza poter ambire ad alcun progresso tecnologico. Abbiamo dato loro una religione e loro pensano che i sette robottoni della Dam siano i loro dei. Hanno talmente tanta paura di noi che a nessun desoliano verrebbe mai in mente di infrangere il dogma più importante che ci siamo inventati per farli sopravvivere in quel violaceo mondo di stenti.
– Siamo sicuri di essere noi i buoni? – chiese Alan Scuro con lo sguardo fisso al robottone.
– Io ci rinuncio, vai a Desol e aiutali. La missione sarà semplice anche per un prestabilito al suo primo incarico. Ah, dimenticavo, rispetta anche tu il dogma perché…
Alan Scuro continuò a fischiettare il motivetto della sua personalissima sigla per tutta la spiegazione dell’agente. Con quel robottone e quelle armi a disposizione si sentiva di non dover più rispondere alle regole di nessuno. Le regole le ho già rispettate a casa e a scuola, pensava, ma ora sono un prestabilito, un eroe, e chiunque tentasse di mettermi i bastoni fra le stelle verrà fermato dal mio possente Scudo Rettangolare, e tagliato in due dal mio leggendario Gladio Oscuro. Da lontano, con i vitrei occhi spenti al di là della celata, il Remo-Tob gli sembrava fremente di farsi pilotare in battaglia contro qualunque cimiciosa ingiustizia.
Alan Scuro venne scortato da un UFO-Pentola alla pancia del suo robottone. Non appena toccò con lo stivale argentato a bande rosse l’immane cintura metallica dell’oscuro colosso legionario, sentì un brivido lungo la schiena e delle spirali di luce melmosa verde fosforescente gli rotearono intorno come elettroni intorno a un atomo. Alan Scuro ebbe un sussulto, subito represso perché gli eroi non si spaventano.
Col guanto metallizzato a bande rosse l’allora giovane prestabilito italiano sfiorò dunque il pulsante indicato dalla visiera con “PREMI QUI”. A seguito di uno scossone, la pancia del robottone si aprì, lentamente ed emettendo un suono idraulico, rivelando al suo interno un antro oscuro dal quale, urlante, venne fuori correndo infuriata la Verità, nuda come una centralinista di Italia7.
Gli eroi non si spaventano, ma Alan Scuro aveva una paura boia e se la stava facendo addosso un’altra volta.
– Aspetta! – chiese Alan Scuro tendendo la mano verso l’UFO-Pentola appena ripartito. – Come si pilota questo coso?!
(Continua…)
L’Episodio LII di Alan Scuro – Prequel parte II – verrà pubblicato, sempre qui, venerdì| Penso…
Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi
(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)