(Nell’episodio precedente, Lira, ascoltando Alan Scuro, ha preso appunti sul pilota di robottoni Bobik l’Ammuffito. Ed era arrivata al punto in cui Bobik, incarcerato dal padre Siro, tramava la sua vendetta, confuso anima e corpo nella la muffa rosseggiante.)
Gli anni in quella gabbia per Bobik passarono indistinguibili, umidi e blasfemi, tra il silenzio bianco della carceriera velata e il rosso sangue di fameliche spore.
In un giorno come tanti, ma che Bobik non sapeva essere quello del suo diciassettesimo compleanno, la Vergine delle Lische che per nove anni lo aveva sorvegliato, forse perché un po’ gli si era affezionata, si avvicinò alla cella per dire addio a Bobik. Siro l’aveva messa al corrente che per il Prestabilito quello sarebbe stato l’ultimo giorno di gattabuia. Tuttavia la donna dovette ritrarsi subito, perché il ragazzo, aprendo gli occhi bianchi e sbucando dalla muffa rossa della parete vicina alle sbarre, la attaccò ferendola al volto con unghie affilate come quelle del demone Nargal, il dio babilonese degli inferi.
il sangue iniziò a sgorgare dalla guancia della donna, che tuttavia si preoccupò perlopiù di sincerarsi che i laccetti del velo non fossero stati tranciati. Avevano tenuto, ma l’emorragia stava vincendo sul bianco della seta.
La donna si riparò ben oltre la cella di Bobik, per cambiarsi il velo. Vennero allora due nuove vergini delle lische a sostituirla, ma anche se avrebbero dovuto vegliare sul Prestabilito solo qualche minuto, alle due sostitute mancava la paura data dall’esperienza che solo accudire un simile demone per anni sa regalare.
Bobik, intanto, le osservava come un fungo velenoso osserva i cercatori di funghi più inesperti, e tra le miriadi di voci sporadiche che lo popolavano, una sembrava molto attenta ai movimenti delle sue nuove silenziose guardiane, e ne discuteva in consesso con le altre: – Puttane vergini, come nulla fosse si avvicinano alle sbarre con l’impudenza di chi vuole dimostrarsi all’altezza di Bobik. Un comportamento tipico delle reclute, soprattutto di quelle che non prenderanno mai i gradi. Bobik, potresti rompere il vaso e fare di un coccio un’arma. No, quel vaso pieno di merda è l’unica cosa che possediamo, ci tengo. Allora usa le unghie come con l’altra troia. Era quello che avevamo intenzione di fare tutti. Io no, tengo molto alle nostre unghie. Noi sì e in fungocrazia vince la maggioranza.
La prima guardiana fu subito sgozzata da Bobik, che l’aveva in un impeto afferrata attraverso le gelide sbarre come un leone una bambina allo zoo, mentre alla seconda, accorsa a placarlo con le chiavi della cella appese ingenuamente alla cintola, toccò un simile soffocante squarcio lungo il collo, ma che purtroppo per lei non si rivelò subito fatale.
Difatti per quest’ultima la morte dovette attendere che il sangue finisse di riempirle i polmoni ansimanti, e cercando il suo aguzzino con la coda dell’occhio spaventato, la Vergine vide Bobik avvicinarsi e poi ne percepì la muffa quando il Prestabilito le si sdraiò sopra, per impedirle di raggiungere l’altra e, inconsciamente, per avere dopo tanto tempo un contatto, seppur dei peggiori, con un altro essere umano.
– Parla, – le ringhiò all’orecchio. – Di’ qualcosa.
Ma esalando gli ultimi respiri la ragazza non stava emettendo alcun suono, quindi Bobik le strappò via il velo tenendole l’elmo premuto contro il sudicio pavimento in pietra. Si era convinto che, siccome le guardiane spirando non avevano emesso nemmeno un gemito di dolore, forse per entrare a far parte delle Vergini delle Lische in realtà una bocca proprio non dovevi averla.
Ma più di ogni altra cosa, Bobik voleva sentire qualcuno parlare che non fosse la muffa che lo pervadeva, squarciando il silenzio esterno che Semiramo gli aveva detto d’amare. Eppure ciò che trovò sotto al velo insanguinato della Vergine, finì col togliere la parola anche a Bobik, anche se non era la bocca mostruosamente assente e sostituita da una membrana di pelle che si aspettava.
In una smorfia di terrore, Bobik riconobbe il volto, seppur più maturo, di sua sorella Ishtari, mentre Samasi la rivide un istante dopo sul viso deturpato della prima guardia che aveva sconfitto, dalla quale aveva strappato via la maschera setosa in un impeto intuitivo di dolore.
Il terrore di ciò che aveva fatto fece tornare a galla dalla muffa quel poco di umano che restava in Bobik. Ricordò quando giocava con le sorelle lanciando i sassi nell’Eufrate per farli rimbalzare fino al Tempio e colpire il tiranno Siro, i modi sempre nuovi che esse trovavano per rendergli appetibile la zuppa di lische che i tre fratelli erano costretti a mangiare ogni giorno e le storie sul nonno cammelliere che le allora ragazzine inventavano per far addormentare Bobik nel freddo della loro stamberga. Così ne ricordò le voci, ora perdute per sempre.
Attraverso i ricordi, quella di Ishtari e Samas, riverse a terra, erano le prime voci che Bobik sentiva dopo nove anni di silenzio da parte della sua carceriera, e il suo straziante ruggito d’ira pervase ogni stanza del palazzo, alzandosi nel cielo azzurro ben oltre le tre cupole persiane a forma di cipolle dorate del Tempio delle Lische, ed echeggiando poi in quel villaggio fuori dal tempo e in tutto l’Iraq.
In un attimo, la primissima guardia ferita alla guancia rientrò nella prigione, pronta a proteggersi con la sua micidiale scopa dalle mille punte non appena notò i corpi straziati delle sue sostitute. Ma Bobik, un’animalesca figura ammuffita nel tetro della guardiola, la aggirò in rapido scatto, e dopo averla accecata con l’indice e il medio a V, uncinò le falangi che ancora le teneva invischiate nel cranio, e la accompagnò sul pavimento abbattendola senza alcuna pietà.
Questa volta Bobik non si fermò a constatare chi fosse quella donna, perché alla muffa non interessava. La muffa voleva solo altro sangue versato e, anziché parole, grida.
A una a una le ife che infestavano le sinapsi di Bobik ne spinsero il corpo a dilaniare ogni vergine delle lische che si poneva sul loro cammino, mentre il sangue delle sempre più vittime accumulate si riversava sull’intero corpo del Prestabilito, sfamandone la muffa intrisa come spugna.
Non ci volle molto perché Bobik si trovasse a spalancare il portone della Sala Grande del Tempio, che aveva riconosciuto dalla sempre maggiore mole di guardie da abbattere nell’avvicinarvisi. Nello spalancarlo, Bobik era Nargal in persona, letteralmente.
Al di là delle pesanti porte sulle quali erano in rilievo da una parte una fenice e dall’altra una fenice ricoperta di lische acuminate, seduto sul suo trono circondato da raggi appuntiti, c’era Siro, con indosso la veste viola sacerdotale e l’elmo raffigurante la bianca Fenice Delle Lische.
Il sovrano impugnava un pugnale ondulato di cristallo, e sotto la lunga barba nera, sembrava sorridere.
– Figliolo, ti sei finalmente liberato, e proprio nel giorno del tuo diciassettesimo compleanno. Non dovevi scomodarti, ti avremmo aperto noi! Ebbene, dal casino che hai fatto immagino che tu non abbia riconosciuto le donne della tua famiglia, ma non preoccuparti, ne hai quante ne vuoi di sorelle nel villaggio.
Molte furono le voci che da Bobik proferirono queste parole: – Siro! Dov’è il pozzo di spine dove hai gettato nostra madre?! Semiramo mi aveva detto che…
La curiosità di Bobik non era casuale. Difatti nella Sala Grande, a differenza di ciò che gli aveva detto Semiramo nel giorno del suo addio, non c’era alcun pozzo di spine, ma solo colonne dorate, un lungo tappeto arabo e statue d’oro di temibili divinità dimenticate dalle teste caprine.
– Semiramo, Semiramo, – disse Siro lisciandosi la barba, – il povero pescatore che da solo salva tre bimbi da un tiranno con accesso a tecnologie ancestrali, e che per giunta riesce pure a farla franca. Ma per favore. Ho detto io a Semiramo di badare a voi.
– Perché? – chiese l’Ammuffito, ruggendo.
– Doveva farti soffrire di fame e di stenti fino ai tuoi diciassette anni, e la storia di tua madre gettata nel pozzo di spine doveva solo servire a farti soffrire la peggiore delle solitudini, così da prepararti a quella terribile, ma più tollerabile, che avresti trovato una volta divenuto un Prestabilito, lassù, nelle profondità dello spazio. La tua intera esistenza, Bobik, doveva esserti una sorta di scuola guida.
– Perché lo hai fatto?
– Perché per me tornare a ottobre, per un solo mese all’anno, non bastava. Io avevo tutto, ma lo avevo qui sulla Terra, e quando a diciassette anni mio padre, come oggi io lo dico a te, mi disse che avrei dovuto lasciare le mie ricchezze per combattere quei mostri nel Cosmo di Nessuno, quasi divenni pazzo e cercai di avere quanto prima un figlio maschio, cosicché in soli diciassette anni, sarei tornato per sempre a godermi il mio ben di Marduk. Tu Bobik sei stato la mia salvezza, e io ti ho privato di tutto, per essere la tua.
Bobik a quelle parole ringhiò morte a labbra serrate. Eppure Siro non sembrava preoccuparsene: – Ma quando avevi solo otto anni, al mio ennesimo ritorno ottobrino dal nulla, gli americani hanno minacciato di ucciderti, Bobik, e ho dovuto farti rinchiudere fino al tuo diciassettesimo compleanno, fino a oggi, ovvero, fino al giorno della tua partenza per prendere il mio posto alla guida del robottone Babi-Tob.
(Continua… Ma tu continua a leggere i contenuti speciali!)
Nuovo dialogo fra Alan Scuro e lo scrittore di Alan Scuro.
- Scrittore, per cosa sta il nome Babi-Tob?
- Alan Scuro, è il robottone di Bobik, ispirato ai Giardini Pensili di Babilonia.
- Ah! Ti ho fatto fare uno spoiler!
- Fanculo, Alan Scuro…
L’Episodio VIII di Alan Scuro – UFO-pentola a Monsampietro Mollico – verrà pubblicato, sempre qui, il giorno 10-03-2023, alle ore 00:00.
Grazie per il vostro tempo. L’autore, Francesco Maurizi
(La storia, i luoghi e i personaggi di questo e di tutti gli altri racconti presenti in questo sito, sono frutto della fantasia dell’autore degli stessi, Francesco Maurizi, e come tali, sono protetti dal diritto d’autore.)